Disfonia spasmodica: come ho trasformato un disagio in un’opportunità

D

Soffro di disfonia spasmodica.

BAM.

L’ho detto. Scritto cioè.

Hai mai avuto difficoltà ad accettare di avere un problema?

Succede quando t’ingegni a cercare la combinazione vincente tra le carte che ti sono rimaste in mano.

Una piccola scala, almeno un tris di 2?

Capperi.

Niente.

Ci ho messo tre anni a capirlo.

E infatti a carte faccio schifo.

Qualche anno fa (circa)

Ero a Roma, in un piccolo auditorium.

Era un posto davvero piccolo, ma suggestivo: quasi si preparasse ad essere ricordato con tanta vividezza.

Ero alle prove di uno spettacolo.

Tutti cantanti al centro, con in mano i testi delle canzoni che di lì a qualche giorno avremmo proposto ad una platea di qualche centinaio di persone.

Il nostro direttore artistico, Gabriella, una delle persone più professionali e creative con le quali abbia mai lavorato in qualità di cantante, sapeva calarci nel giusto contesto emotivo: allegro, energico, spontaneamente disciplinato.

Quando trovi una persona così, che ti insegna ad essere spontaneo con rigore, bè, tientela stretta.

Ho lavorato per diversi anni con Gabriella e l’atmosfera che respiravo era sempre distensiva.

Non quel giorno purtroppo.

Quel giorno qualcosa non andava proprio.

Ero freddo, dovevo riscaldare la voce: sapevo che ci avrebbe messo un po’ a diventare performante, lo sentivo.

E sentivo una vena sul collo.

Peggio: sentivo il collo.

Cacchio solitamente dai per scontato di avere un collo, no?

Quel giorno sentivo il collo come adesso sento di avere l’orologio al mio polso destro: troppo stretto.

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Una finestra chiusa

“Fenesta vascia” è un antico canto popolare napoletano del ‘500: parla di un giovane acquaiolo, un ragazzo, che si strugge per una donna la cui finestra resta chiusa e ad un certo punto la invita ad imitare la neve.

Che è fredda, come lei, ma si fa toccare, si fa plasmare con le mani.

Bellissima.

Adoravo cantarla.

Quel giorno volli riscaldarmi accennando quella canzone.

“Fenesta vascia ‘e padrona crudele,
quanta suspire mm’haje fatto jettare!”

Davanti a tutti i miei colleghi, davanti al direttore artistico, quello che uscì dalla mia gola è un ricordo che, uhm, ancora mi dà l’orticaria.

Proprio io, poi!

Io, che cantavo Stevie Wonder un’ottava sopra (eheh, certo)!

Io, che avevo cinque ottave di estensione (una pianola umana)!

Io, che Prince mi invidiava il falsetto (e anche il look, ovvio)!

Io, io che…

… Ero bravino, dai.

Ma quel giorno feci conoscenza con la MIA disfonia spasmodica, senza che mi svelasse il nome ovviamente.

Si presentò come:
IncapacitàDiControllareLaVoceMioDioTremaComePazzi
NonRiescoAGestireLEmissioneCheFiguraDiMEEEEEEP!

“Eeeep!” è il suono che la mia laringe fece nella mia mente, quelle 19 volte che in “Fenesta vascia”, come una stronza, mi tradì e si spezzò.

Si tappò.

Si chiuse.

BAM.

Come una finestra.

Ancora non lo sapevo, ma per i tre anni successivi avrei implorato alla finestra della mia voce come un amante infelice.

L’avrei pregata di sciogliersi.

Di tornare a farsi plasmare.

Come neve.

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La diagnosi

Disfonia spasmodica.

È un disturbo raro e c’è voluto l’intervento di qualche medico per inquadrarlo (alla fine ce l’ha fatta il dott. Franco Fussi in 10 minuti di visita).

Stai attento a sperare di vincere alla lotteria perché è una cosa che potrebbe realizzarsi.

Che culo, insomma 🙂

Ho vinto alla lotteria della vita e il premio è stato proprio un disturbo di quello strumento sul quale stavo costruendo la mia carriera, oltre al fatto di costituire un pilastro della mia identità.

Non c’è da parafrasare: andai in crisi.

E tutto per caso.

Ma tu credi nel caso?

La disfonia spasmodica è un disturbo della voce caratterizzato da spasmi involontari dei muscoli della laringe e colpisce sopratutto chi della voce fa un uso professionale.

Ti copio/incollo la definizione che ne dà L’Associazione Italiana Per La Ricerca Sulla Distonia:

“È una condizione neurologica, una forma di distonia focale, che colpisce i muscoli vocali della laringe.

Al pari di altre forme di distonia (quali il blefarospasmo ed il torcicollo) si caratterizza per i movimenti involontari abnormi.

Nella disfonia spasmodica, i muscoli delle corde vocali si contraggono e rendono il parlare faticoso e spesso forzato e strozzato.
La voce può risultare tremante o aspirata.

I sintomi possono migliorare o sparire quando il paziente sbadiglia, ride, canta o si rilassa.

I sintomi della disfonia spasmodica possono peggiorare in certe circostanze, quali il parlare a telefono o la presenza di tensione emotiva.

Tuttavia, la disfonia spasmodica non è causata dallo stress né dalla tensione emotiva.”

Scusami, ho dovuto mettere in grassetto l’ultima frase.

Sai perché?

Perché ho passato almeno 20 mesi a convincere una persona in particolare che quello che stavo passando non era dovuto all’ansia o alla stress.

Certo, sono una persona emotiva.

Se non sei psicopatico lo sei anche tu in realtà.

Diciamo molto emotiva, ok.

Ma sono anche cazzuto.

Eppure questo imbecille voleva giustificare il problema dicendomi che era lo stress, che dovevo rilassarmi, non lavorare sempre, bla bla…

“È lo stress, sicuro!”, diceva e vantandosi di una doppia laurea in Psicologia presa a pieni voti (che bravo però) argomentava con le teorie di Selye o peggio, MOLTO PEGGIO, sviscerava la mia storia con l’approccio psicoanalitico lacaniano che non è una teoria – è un BISTURI.

Non trovando i medici cause organiche, allora lui mi vivisezionò la mente.

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Mi vivisezionai la mente.

Perché quell’imbecille ero io.

Col senno di poi, come potevo sapere di essere affetto da questo disturbo/malattia?

A volte conviene perdonarsi un po’, se ci riesci.

Mi sono arrabbiato, certo.

Soprattutto con la parte di definizione di disfonia spasmodica che dice “cause sconosciute”.

Perché significa “cura sconosciuta”.

Logopedia, botox, chirurgia… Non ti affannare a cercarla, non ce n’è, di cure definitive (ma se la trovi, dimmelo!).

Mi sono arrabbiato, poi ho smesso.

E ho cominciato a riflettere sul significato di quello che stavo, che sto, vivendo.

Sul fatto di essere un cantante, che non può cantare.

Il cantante incantato

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Io con la mia ex-band, gli April Fools, quando spaccavo i culi e avevo maestosi capelli.

In questi anni ho fatto diverse ricerche di cui ti risparmio volentieri i dettagli.

La mia forma di disfonia è abbastanza lieve, tutto sommato.

Con il tempo ho imparato a dosare meglio l’emissione d’aria, quando parlo, per cui la mia voce parlata può risultare normale.

Uno sguardo attento potrebbe notare la fatica che faccio, a volte, a contrastare il tremore.

Il tremore è il mio nemico, baby.

Lo combatto con un’arma chiamata ‘diaframma’, e il più delle volte con successo.

Per la voce cantata è un’altra storia.

Semplicemente: la fatica è troppa e il risultato è una cacca.

Al mio orecchio severo, severissimo, di giovane uomo che ha scritto, registrato, e prodotto (significa che posso ascoltare una singola frase registrata anche 200 volte) decine di canzoni, la mia voce adesso è un impasto tremolante di pupù.

Niente mezzi termini.

Non mi piace.

Sono un cantante senza voce, anzi peggio, con una voce brutta o quantomeno fragile come un grissino che si spezza facilmente senza il vantaggio del tonno all’olio d’oliva.

Non posso cantare.

Non posso più proporre le mie canzoni.

Non posso più realizzare il mio sogno (che vuol dire poi? Ne parleremo).

Fuck.

NO.

Recentemente una rivelazione mi ha colto, come un piccolo buddha inesperto (non dire budino).

Forse non tutto il male vien per nuocere.

Forse quello che chiami “male” è semplicemente qualcosa che non hai ancora capito.

Sai cos’è che non capivo?

Prima di sapere della disfonia intendo.

Non capivo perché nessuno, o quasi, ascoltasse davvero le mie parole.

Le canzoni che scrivevo, e scrivo, possono essere percepite come semplici, ma non sono mai superficiali.

Non sono mai leggere, nel senso di inconsistenti, vaporose.

Cacchio se hai letto qualche altro mio articolo avrai capito che posso “scavare” in una questione fino a consumarti la pazienza (come adesso, d’altronde, da bravo “endonauta”).

Eppure quando cantavo venivo apprezzato per la “bellezza” della mia voce, per i virtuosismi che facevo, per l’estensione.

Non per le mie frasi.

Non per quando dicevo:

“Parole confortano, ti illudono e convincono
che il mondo sia tra un no e un si
e il cuore tra parentesi.”

Oppure quando raccontavo la storia di un bambino incazzato che immaginava di dar fuoco alle cose brutte.

Niente di rivoluzionario, per carità, ma io ci tengo alle mie storie.

Ed è questa la rivelazione che mi ha lasciato “incantato” come un dodicenne al museo di storia naturale di New York.

disfonia-spasmodicaMe, ovvero: un piccolo buddha incantato.

Io tengo alla MIA storia.

La mia storia è il bene più importante che ho.

È un patrimonio.

Con le sue gioie, i suoi dolori, le sue scoperte.

E con la disfonia spasmodica, che ha reso la mia voce brutta o meno bella ma che forse mi sta dando l’opportunità di farmi ascoltare davvero.

Questa malattia non è un problema mio: ma di quella fetta di mondo che non è disposta ad ascoltare una voce che sussurra.

Viviamo in un mondo chiassoso dove spesso per farti ascoltare devi urlare, letteralmente e non.

Vale anche per i cantanti, quelli che chiamo acutomani: esploratori ossessivi della parte alta dello spettro sonoro.

Chi ti fa i complimenti perché canti bene, mentre stai eseguendo Mina tre ottave sopra richiamando tutti i gatti del quartiere, credimi, difficilmente ti sta ascoltando davvero.

Si ascolta con il corpo.

Con gli occhi, anche.

Chi ti dice bravo perché urli, non vede le tue vene del collo inturgidite, di certo non sente le tue parole.

Io prima della disfonia avevo la smania del farmi ascoltare.

Da tutti.

Poi mi sono candidamente e magicamente rassegnato.

Anche tu vorresti che tutti ti ascoltassero?

Devi capire che “tutti” è un concetto che non esiste in realtà: la verità è che vorresti che alcune SPECIFICHE persone ti ascoltassero davvero.

La verità è che saranno in pochi a farlo e chi lo farà davvero non vorrà il fumo, vorrà l’arrosto.

E l’arrosto è la tua storia.

Ecco un pezzo del mio arrosto, adesso.

Si chiama ‘Anima pagliaccio’, è una canzone che avrò scritto cinque anni fa ed è un pezzo della mia storia.

Ci ho messo tre giorni per registrare questa imperfetta versione dal vivo.

Ti va di ascoltarne le parole?

La tua storia è un’opportunità.

Perché nessuno, NESSUNO, l’ha vissuta tranne te.

Quindi puoi essere bravo a raccontarla oppure no, ma la verità ASSOLUTA è che nessuno la conoscerà meglio di te.

Tu sei il tuo massimo esperto.

E la bellezza sta nel fatto che hai il diritto di raccontarla sempre: anche quando la trama è un po’ sottotono oppure i personaggi non ti sembrano interessanti.

Se ti ricordi di essere il protagonista di una storia unica, anche i momenti morti diventeranno più sopportabili.

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Si Gabriele, ma come trovo qualcuno che mi ascolta?

Guardati intorno, amico o amica mia: oggi le storie sono ovunque.

Nemmeno te ne accorgi e ne stai leggendo una: su Facebook, da Google, su Instagram, su Snapchat…

Uè, d’altronde hai appena letto la mia no?

E non sono venuto io da te a propinarti la mia versione della vita: sei venuto spontaneamente sul mio sito, una cosa per la quale ti sarò personalmente grato a vita.

Grazie per avermi letto, davvero.

Ciò è stato possibile grazie ad una vera meraviglia, che spero non farai mai l’errore di demonizzare: la tecnologia.

La tecnologia può fare bene.

Lo ripeto spesso: sono convinto che le moderne tecnologie digitali, abbinate anche alla musica, possano connettere le persone in un modo nuovo, autentico e meraviglioso.

Grazie ai social network in particolare ho arricchito le mie competenze, ho conosciuto e conosco continuamente persone straordinarie che vivono dall’altra parte del pianeta.

Ho letto le loro storie, ardentemente.

E adesso dimmi: credi davvero che su 7 miliardi di persone che abitano il pianeta Terra nessuno sia interessato alla tua storia?

Devi solo sapere come fare.

Appassionarsi alla propria storia

Che tu sia un artista oppure no, che tu abbia fiducia o meno nella tua VOCE, non importa: conta solo che tu abbia una storia.

Vivere è già un’arte, no? 🙂

Ti abbraccio,

Gabriele

PS: se vuoi scoprire di più su di me e la mia musica clicca qui!

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Sull'autore

Gabriele

Sono un cantautore e music marketer, aiuto i colleghi a farsi scoprire DA VIVI.

By Gabriele

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