Le canzoni più belle che ho scritto (e che nessuno conosce)

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Le canzoni più belle che ho scritto (finora) sono figlie di un altro tempo: quando tutto era più semplice, non c’era una distinzione profonda tra essere e fare l’artista e più di ogni altra cosa: non c’erano bollette da pagare.

Hai mai sentito il bisogno di dimostrare di aver combinato qualcosa nella vita?

Cazzo, ti sei fatto il culo, hai sudato, studiato come un matto, speso migliaia di euro in formazione eppure c’è ancora qualcuno là fuori che ti guarda e ha il potere di farti sentire in credito con la tua vita: manco avessi una quota di sogni da reclamare.

Perché si sa, se non realizzi i tuoi sogni non sei davvero felice.

Ecco, vorrei sfatare questo mito: realizzare i sogni è impossibile. 

I sogni cambiano ma tu hai il diritto di sentirti comunque soddisfatto dei traguardi che hai raggiunto, senza farti fregare dalla retorica della felicità.

Per questo, stilo volentieri questa lista delle canzoni più belle che ho scritto.

Lo faccio per me.

Credo che ciascuno di noi dovrebbe concedersi, ogni tanto, il lusso di compiacersi dei propri successi. Una canzone ben scritta, ad esempio, è un successo personale, soprattutto se in passato ha ispirato un sorriso, o una lacrima.

Sono sicuro che anche tu hai qualcosa per cui congratularti con te stesso.

E se ci chiameranno presuntosi, tu ricordati quanto è bella l’espressione “pieni di sè” e sentiti pieno, colmo, traboccante, folto, ricco… di TE.

Le canzoni più belle che ho scritto le ho cantate io

Ci tengo a precisarlo per pararmi il culo dai giudizi: tra i miei sogni (quelli recenti) c’è quello di regalare una mia canzone ad un artista di fama (inter)nazionale e dato che non è ancora successo vorrei che la platea dei sentenzianti restasse delusa.

Si, è così, me la suono e me la canto 🙂

Se vivi un rapporto intimo e profondo con quello che fai, che ti reputi un artista oppure no, allora conosci il piacere dell’intuizione, quando pensi “Si, questa cosa può fare del bene ad altri, quanto ne sta facendo a me.”

Poi scattano mille pippe mentali, per cui ti vergogni e nascondi la tua opera neanche fosse un dispetto.

E ti assicuro, per un artista o presunto tale questa cosa è amplificata all’ennesima potenza, e sai perché?

Perché nell’arte è bello ciò che piace.

Ma allora siamo fregati: così il bello sarà sempre relativo.

Io invece penso che ci sia un elemento oggettivo nella bellezza, solo che è necessario un piccolo ribaltamento di prospettiva.

Nella frase di prima c’è un sottotesto che, in quanto tale, resta sempre nascosto, ed è: il bello è ciò che piace agli altri.

Prova a convincerti di questo: il bello è ciò che piace a te.

L’elemento oggettivo sei tu.

Mettiti al centro, per una volta, dei tuoi valori, sentiti in diritto di mettere un punto, di stabilire un assoluto.

Occhio, non sto suggerendo nessuna filosofia etica, il mio approccio si “ferma” all’estetica o al minimo, ad uno stratagemma mentale per alimentare la spinta a fare la cosa più importante che puoi fare nella vita: AGIRE.

Se pensi che una cosa sia bella, per te, FALLA. Fai. Fai. Fai.

Il rischio più grande? Potresti rischiare di fare del bene a qualcuno.

E parti dalle cose semplici: come raccogliere le canzoni più belle che hai scritto e cantato.

Eccole qui sotto, ho fatto un elenco: se clicchi sul nome della canzone puoi “saltare” direttamente alla descrizione.

Questa raccolta assume per me un significato particolare, dato che si tratta di “provini” fatti in casa dal sottoscritto, oppure di estratti dai due progetti discografici che ultimai con la mia band storica, gli April Fools.

Quindi, alle mie orecchie hanno un colore piuttosto “vintage” e sono comunque rappresentative di una verità: non potrò mai più cantarle così come le registrai, avendo subito negli ultimi anni un profondo cambiamento della mia voce.

  1. L’omino di cartone

  2. Tutti i profumi del mondo

  3. La notte

  4. Respiro

  5. Nella mia città

  6. Piro

  7. Se

  8. Montagne blu

L’omino di cartone

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La scrissi nel 2007, avevo vent’anni.

Ero ancora ebbro del “per sempre”, in amore intendo.

Sei mai stato giovane? 🙂

Io si, e ti assicuro che mi ricordo certe sensazioni, e anche se non le provo più, mi tengo stretto il ricordo: fa parte del mio repertorio di emozioni dal quale ogni tanto pesco qualcosa su cui scrivere.

Una di queste sensazioni è la GELOSIA.

Treccani la definisce così:

Stato emotivo di dubbio e di tormentosa ansia di chi, con o senza giustificato motivo, teme (o constata) che la persona amata gli sia insidiata da un rivale.

Il tormento, il dubbio, l’ansia: cose bellissime, se come me, hai l’attitudine da endonauta, sei un esploratore di te stesso.

Ora, la gelosia nasce da una duplicazione di sè stessi, se me lo concedi, dall’ipotesi, giustificata o meno dai fatti, che là fuori nel mondo ci sia qualcuno in grado di rubarci la persona amata, o peggio ancora, di plagiarne i sentimenti, convertirli in qualcosa di diverso dall’amore che tu sai, sei certo, che lui/lei prova per te.

Si sposa bene con il tema del “doppio”, a me molto caro: d’altronde, per ogni Jekyll c’è un Mister o una Miss Hyde.

E chi dice che invece di mostruoso questo alter ego non sia super-figo e con il six pack, o alta un metro e ottanta e dalla silhouette perfetta e le labbra magnetiche?

Quando ero geloso in questo modo (e siamo sinceri, è una maniera che rasenta la paranoia), il mio alter-ego non aveva gli occhiali, era atletico, muscoloso e non aveva cicatrici.

Al suo cospetto ero una specie di caricatura, una macchietta, un personaggio secondario, scritto male.

Un omino di cartone.

Una persona ammalata di sospetto, e una minaccia per la libertà espressiva della persona che amavo.

“È da un po’,
che mi spaventa questa mia fragilità,
controvento ho perso la metà
che ti sapeva amare
senza mai recriminare.”

A distanza di dieci anni riascolto “L’omino di cartone” con molta tenerezza ma anche orgoglio.

Perché ricordo che fu la canzone che mi portò ad un passo dal Festival di Sanremo, mi permise di conoscere e guadagnare (forse) la stima di Franco Zanetti, una delle persone con cui collaboro adesso (anche se in un contesto lavorativo differente) e più di tutto: mi aiutò a fare chiarezza dentro di me, con i miei sentimenti e quelli dell’Altro.

Per questo la metto tra le canzoni più belle che ho scritto.

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Tutti i profumi del mondo

Viaggiare, viaggiare, viaggiare.

Spiegami, per favore, perché non dovresti voler vedere il mondo.

Assaporarne le spezie, copiarne i colori, respirarne gli odori – acri, pungenti, dolci, fruttosi.

Sciacalli di esperienze, predatori di paesaggi, ammiratori senza scrupoli di ciò che esiste, incontaminatori seriali.

Anche tu fai parte di questo club? 🙂

Io lo fondai da solo, in una stanza di un appartamento provvisorio, a Napoli, quando la mia famiglia ristrutturò casa.

All’epoca avevo un solo mezzo per viaggiare, oltre all’abbonamento della metro: ed erano le facce delle persone.

Zigomi, occhi, rughe, labbra, nella mia mente si trasformavano in svincoli, voli, navi, binari.

Credi che ciascuno di noi contenga un piccolo universo?

Allora datti da fare, e solca i mari delle amicizie, degli amori, e se sei coraggioso, quelli ignoti delle facce degli sconosciuti.

Con tutti quei crucci, quelle paure, quelle gioie, la “gente” è stata oggetto di canzoni più belle delle mie.

Questa “Tutti i profumi del mondo” è un tragitto fatto su quel trabiccolo bizzarro che è l’amore giovanile (si, credo avessi meno di vent’anni quando l’ho scritta).

Parla di lontananza ma di un tipo che si può colmare, anzi che è già colma.

Perché a volte è l’amore che hai per qualcuno che ti ispira a viaggiare.

È talmente forte che se ami lui/lei, ami il mondo: e vuoi vederlo, insieme se è possibile (ma potrebbe non esserlo).

“Ti scriverò,
più volte sai,
la foto tua non basterà,
tu basterai.”

Ti sembra un sentimento complesso?

Lo è. 🙂

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La notte

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Ah, la notte, la notte, che amante eccezionale!

Con i suoi misteri, le sue promesse, la sua naturale propensione ad accogliere i sociopatici borderline come me con un passato da teenager timidi e pensatori cronici. 😀

Bando alla poesia, dimmi: stai pensando a cosa fai di notte?

Arriverà anche a te un momento, a meno che tu abbia un disturbo del ritmo circadiano, in cui ti cala la palpebra e si chiude il sipario sul giorno appena trascorso.

Sai che il sonno aiuta a consolidare la memoria?

Quindi, per favore, non privartene, e non escludere, come ho fatto io in passato, che uno dei modi per apprezzare la magia della notte è dormire. 🙂

Tra le canzoni più belle che penso di aver scritto, c’è questa qui.

All’epoca (parliamo del 2009 se non erro) io e il mio geniale papà, che era in tutto e per tutto il mio manager, ci buttammo in un percorso di progettazione della mia carriera da cantautore SOLISTA (in parallelo c’era sempre la band) e pensa un po’ dove finimmo: in Canada, a Montreal, a lavorare con un produttore italo-canadese, Vincent Thoma.

Per quel progetto composi tre canzoni, e “La notte” era una di quelle.

La cantai in maniera suadente, più melodico di un Michele Zarrillo in hangover, ammiccante come un Bublè con l’orzaiolo.

Oh, a me questa canzone piace un sacco e vorrei che qualcuno la cantasse meglio di me.

Non è tra i testi più articolati che ho scritto, ma lo reputo sufficientemente onesto da meritare l’attenzione di chi come te non confonde il semplice col banale.

Non credo sia banale dire:

“La notte che non passerà
sarà quando non risponderai.”

Perché cazzo, è vero.

Oggi pendiamo dalla doppia spunta di Whatsapp.

E se sono le 2 di notte e una risposta non è ancora arrivata, allora ci prepariamo a quell’esercizio di solitudine in cui il mondo dorme, “ma la notte no”.

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Respiro

Ho il sospetto che ogni cantautore nella vita abbia scritto una canzone dal titolo “Respiro”.

Forse sarà che l’inverno è freddo e le si tenta tutte per scaldarsi (alitosi permettendo).

In realtà penso sia più qualcosa che ha a che fare con l’anima.

Riconducibile al latino animus, con il significato di spirito, che a sua volta corrisponde al greco ἄνεμος (anemos) = vento.

Ma questo lo sa chiunque voglia ostentare un po’ di cultura (io a mia discolpa, ho fatto il liceo scientifico 🙂 ).

Per me “respiro” era poco più di un termine che identificava almeno una caratteristica indiscutibile di un essere vivente terrestre: il fatto che esso respiri.

E in quanto tale che sia “incarnato“, che sia fisico, che esista, che sia “esistente”, che non sia una mera confabulazione linguistica che tradisce le cose reali per trasformarle in concetti.

Volevo una parola “sporca”, umana, fatta di tosse, singhiozzi, starnuti, alitosi appunto.

“Respiro.
Solo questo ha senso per me.”

È questo il punto, della canzone.

Nel marasma di discorsi, di interpretazioni, di parole, parole, parole, parole, parole, parole, parole, parole, parole, parole…

Ciò che conta è che io esisto, punto.

Per arrivare a questa conclusione ci metto quattro strofe e due ritornelli: porca miseria, com’ero lento.

All’università (sono laureato in Psicologia – poi ne parliamo), l’esame che ricordo con più amore fu quello di Filosofia Morale: lì conobbi Jacques Derrida, Jacques Lacan, Maurice Blanchot.

Per farla breve mi affezionai al concetto di “scarto”: esiste un vuoto che non riusciremo mai a colmare, con le nostre teorie, le nostre interpretazioni, i nostri discorsi.

C’è sempre, sempre, qualcosa che non riusciremo mai ad inglobare nella nostra comunicazione, un senso inespresso, una differenza.

C’è sempre un’aporia.

“Parole che esplodono,
si scagliano,
uccidono.
Sono le bugie che ho preparato
se il mio cuore s’è spezzato.
E resto qui,
immobile,
grido perché
le parole poi svaniscono
e dopo resta quello che non dicono.”

Conosco persone che letteralmente inseguono i discorsi.

Ne conosci qualcuna anche tu?

Vivono l’ansia di dover dire tutto-tutto-tutto, perseguono la completezza, l’esaustività.

Il bello è che questa impossibilità di dire tutto non va temuta, o demonizzata.

Va abbracciata, perché è alla base dell’esistenza, non si può cambiare: tutto ciò che è, è sempre decentrato rispetto a se stesso. 

C’è una porzione di realtà che resterà sempre e per sempre indicibile, inconscia: è in questo spazio incolmabile che l’irrazionale ha luogo, forse è proprio per questo che l’immaginazione è possibile.

Forse è in questo spazio che accade la creatività.

O accade l’amore.

“Parole ti abbracciano,
ti stringono, sorridono per te
e intanto distinguono i sentimenti miei.
E sono la musica,
una lettera,
il suono di chi sei,
ma non ti descrivono,
nemmeno io potrei.”

Io voglio crogiolarmi nell’impossibilità di dire tutto.

La trovo bellissima, come quella stella cadente che puntualmente, la notte di San Lorenzo, non vedo.

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Nella mia città

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Sono nato e cresciuto a Napoli.

Per una serie di ragioni professionali mi trovo a vivere a Milano e adesso osservo la mia città da lontano, il che significa che di lei mi arrivano echi dal web, dalla poca tv che guardo e dai racconti di mia madre.

Parlare di Napoli è sempre un terreno insidioso, rischi di scivolare nei luoghi comuni per cui “è bella ma si vive male”, c’è traffico, la monnezza, pizza, mandolino, bla bla.

E questo rischio c’è anche per un napoletano, quindi mi sono convinto che il modo migliore per renderle giustizia è stare zitti.

Ecco perché in questa canzone non parlo di Napoli ma della “mia città”, che è anche la tua, ovvero qualunque contesto in cui crescere non è stata una scelta ma è stato necessario per sopravvivere.

Sono le quattro mura di una stanza o i quattro angoli di un quartiere: è quella piazza che scopri da piccolo e un giorno RI-scopri da grande, ma lei è rimasta uguale.

Sei TU diverso.

La “città” è il luogo del cambiamento, dove vivi l’orrore della novità.

“Dio mio!”, pensi, prima di accorgerti che quell’idea potrebbe essere rivoluzionaria.

“Fiorirà un’idea
nella mia città,
e sarà malattia che ci guarirà.”

C’è una protagonista in questa canzone.

Una donna che vive il dilemma del cambiamento tra le pagine del suo diario.

Se anche tu come lei hai un diario, forse vivi in sintonia con i tuoi segreti ed è un bene.

Lei, la donna (la città?) vive due momenti distinti, in una strofa e in un altra.

Nella prima è convinta: “La mia vita non cambio”.

Nella seconda stringe un figlio tra le braccia.

Ci sono due attimi lontani nel tempo in cui bene o male ci ritroviamo nella stessa posizione a contemplarci.

Si chiamano “prima” e “dopo”.

E in mezzo c’è una bugia che piano piano è diventata una nuova verità.

Magari in mezzo c’è un figlio, oppure soltanto una nuova idea, che all’inizio guardavi con orrore, adesso è la tua ragione di vita.

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Piro

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Oh, qui si parla di fuoco e di emozioni violente.

Se hai stomaco debole, ti prego, NON continuare a leggere.

Qui si parla di quell’animalità ancestrale, del confine del tutto valicabile che separa l’ uomo da una creatura diversa, guidata da istinti essenziali, primitivi, la cui vicinanza non da tutti è desiderabile (ma da qualcuno si).

Questa creatura è un concentrato di spontaneità, è spesso associata con la purezza, ma non è raro trovarla in condizioni di sporcizia totale della quale può bearsi e persino compiacersi.

È insolente, audace, pavido e impavido allo stesso tempo.

Questa creatura è il bambino.

Tra le canzoni più belle che ho scritto, c’è questa “Piro”, che è nata da una scintilla di rabbia arsa in me nel 2013.

Era una forma di rabbia “fumosa”, generica, di quelle che provi per la vita, per le “cose che vanno male”, la sfiga, il destino, il karma, il “ma che cazzo perché proprio a me” e tutta una serie di altre esclamazioni che usi per dare un nome al niente di niente.

Però quell’emozione non era niente.

Era reale, vibrante, e mi spinse: giù dal parapetto di quella camera blindata con vista sul panorama della mia autostima.

Iniziai a scrivere: sai che a volte scrivere ti prende come una mania, un’attività ossessiva compulsiva che se non porti a termine stai male.

E scrissi del fuoco, dentro di me,  di quella rabbia che era mia e non mia, era del mio bambino.

Non parlo del figlio che non ho.

Parlo di me-bambino.

Me-bambino s’incazza, ecco che succede.

Me-bambino parteggia per la vita, si mobilita per la felicità, si accende con la potenza di una pala eolica e smuove il mio cuore per le spalle.

Dice: “Perché mi violenti? Perché non mi rispetti?”

A volte capisci cosa volevi dire in una canzone dopo anni: e forse “Piro” la sto capendo proprio ora, colmando quella differenza di cui parlavo prima (colmandola in apparenza, finché non ne riemergerà un’altra.)

Piro è il bambino dentro di te che non sai di star violentando, e sai quando accade?

Ogni volta che rinunci.

Quando cominci a saziarti di vita.

Stai picchiando il tuo bambino.

Non pensi che a questo punto il bambino, la vita, abbia diritto ad incazzarsi, a prendersi fuoco di te?

“Nei sogni di un burattino
anche la neve si brucia.”

Piro è stato l’ultimo singolo che promossi con la mia ex-band, gli April Fools.

Fu un insuccesso clamoroso. 🙂

Ma io in questa canzone ci misi tutta la forza del mio bambino, l’energia ancestrale, la furia degli elementi.

Cercai anche di rappresentarlo con un videoclip, che scrissi e produssi con il regista Claudio D’Avascio.

Nella storia del video l’intenzione era di combinare la “mitologia” degli elementi (acqua, fuoco, terra, aria), quindi energie primordiali, a quella dei supereroi, che mi sembrano la rappresentazione moderna del “bambino”, quello che per magia può tutto e che la nostra cultura non ha mai smesso di rievocare.

Amo i supereroi.

Amo il mio bambino (e tu?).

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Se

Proseguo questa mia rassegna personale delle canzoni più belle che ho scritto con “Se”, che è un’apologia del rimuginare.

Vorresti mai impacchettare le tue cose e tornare indietro nel tempo, a bordo della “più sincera voglia di fare le cose per bene stavolta“?

A me francamente non capita mai, con una sola eccezione, che se ci penso ho ancora problemi a tirar su la mascella.

A volte ti stupisci da solo.

A volte le emozioni ti sorprendono.

E capita quando gli eventi che ti accadono sono esagerati, abnormali.

Che c’è di più abnormale della perdita di una persona cara?

Nel senso che fa proprio breccia nella quotidianità, nella normalità intesa come “confortanti aspettative per il più imminente futuro.”

Io, da che ho memoria, faccio pensieri sulla morte quasi ogni giorno e trovo che sia una cosa molto sana: mi tiene in contatto costante con la vita.

Quindi fui sorpreso dalla mia sorpresa, quando mio nonno morì.

Me lo aspettavo, ma non mi aspettavo che qualcosa dentro di me non si aspettasse quel turbinio di emozioni.

Lo stesso che mi catapultò indietro nel tempo nei miei 17 anni di vita precedenti, a fare l’inventario dei “se”.

Se ti avessi ascoltato di più. Se fossi stato presente. Se avessi risposto meglio.

La morte è una macchina del tempo.

“Se restano i rimpianti,
resistendo e sentendosi distanti,
seminare sé stessi andando avanti,
sembra essere il senso di questi anni.”

Seminiamo noi stessi in due direzioni, nel passato e nel futuro.

E davvero non c’è altro da fare che continuare a farlo.

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Montagne blu

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La più recente tra le canzoni del mio repertorio che reputo più belle è anche la più solare, la più luminosa che abbia mai scritto.

Al contrario delle altre, in cui emerge sempre una “zona d’ombra”, questa è tutta luce.

E il merito non è mio.

Ma di Annaclara Maffucci, in arte Laica (anche se si ostina a definirci un duo – e se mi legge mi ammazza 🙂 ).

Annaclara è la persona con cui negli ultimi anni ho condiviso gioie e dolori, e l’autrice con la quale ho co-scritto il brano.

E “Montagne blue” è un po’ come lei: racconta di coraggio e delle possibilità che si aprono quando lo si ritrova in sé stessi.

Non mi dilungo troppo.

La sua voce (eterea e rassicurante) aspetta che l’ascolti.

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Le canzoni più belle che non ho ancora scritto

Grazie per essere arrivato fino a qui! 

Può voler dire diverse cose, tra cui che hai pazienza, che ti piacciono le mie canzoni, che sei uno stalker, etc. 🙂

Ma di certo hai la mia gratitudine.

Ti dirò, non è un caso che io abbia terminato questo elenco con una canzone che canto quasi sussurrando: col senno di poi posso dire di aver anticipato i miei stessi tempi, all’epoca, dato che nel futuro è improbabile riuscirò a riprodurre i virtuosismi vocali di Piro.

Ma va bene così.

In questi anni mi sono accorto di una verità importante.

È la mia esperienza, ma spero ti sia utile, in qualche modo.

Mi sono accorto che ho più cose da dire, che cose da dimostrare.

Ti abbraccio.

Gabriele

PS: Qui trovi il mio ultimo disco: 11 canzoni del tutto autoprodotte… da me! 🙂

Sull'autore

Gabriele

Sono un cantautore e music marketer, aiuto i colleghi a farsi scoprire DA VIVI.

By Gabriele

Gabriele

Sono un cantautore e music marketer, aiuto i colleghi a farsi scoprire DA VIVI.

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