L’incubo dei musicisti

L

Periodicamente faccio un sogno veramente osceno.

Il sogno inizia così:

ero in un pub da qualche parte tra i comuni del vesuviano (per chi non lo sapesse ho passato due terzi della mia vita a Napoli e dintorni) e stavo allestendo un palchetto insieme ai membri della mia ex band.

Avevamo portato tutto:

  • Amplificatori
  • Impianto audio (spie comprese)
  • Mixer
  • Strumenti (batteria compresa)
  • Cavi a morire

Persino il palchetto, una sorta di rialzo in legno massello, pesantissimo, di 3 metri per 4, su cui idealmente ci saremmo posizionati stretti stretti ma trionfanti davanti ad una platea esultante, l’avevamo portato noi.

Venivamo da 3 mesi di prove: ma nulla avrebbe potuto prepararci a ciò che ci aspettava.

Puoi “guardare” questo articolo anche su Youtube o ascoltarne il podcast:

L’incubo

Arrivammo lì alle 17:30, in largo anticipo rispetto all’inizio della serata, previsto per le 21.

Peccato che ad aspettarci c’erano un gatto appollaiato all’ingresso e un tizio spellacchiato, il burlone del paesino pare, che ci comunicò, sdentatissimo: “Eh ma qua ancora adda venì o proprietario!”.

Bene.

La faccio breve: il proprietario arrivò alle 20:17, salutandoci con un “Ma come non siete entrati? Era aperto eh.”

Peccato che nessuno rispondesse al citofono – ad ogni modo – in fretta e furia montammo palchetto e strumentazione nel punto che ci venne indicato ovvero, tra le porte dei due cessi, maschile e femminile, che per uno scherzo architettonico ben riuscito erano posizionati proprio ai lati della bella sala, e noi al centro.

Poco male, di lì a poco sarebbero arrivate le persone e avremmo iniziato il nostro show.

Le persone arrivarono: a fiotti, un’orda gigantesca di commensali iniziò a riempire il locale che in un attimo si trasformò in un carnaio.

Tra di noi ci lanciammo uno sguardo fiero, il nostro concerto stava per iniziare: attaccammo con una ballatona strappa palle che avevo scritto pensando alla mia ex fidanzata, un brano di cui andavo particolarmente fiero.

Chiusi gli occhi e cantai. Mannaggia a me che li riaprii.

Bocche spalancate su panini burrosi e viscidi, litri di bava che inondavano il locale mentre lo scricchiolio delle mandibole all’opera sovrastava persino il suono del rullante.

E gli occhi iniettati di sangue delle persone, dedite a compiere un atto che mai avremmo mai creduto potesse competere con la nostra musica: mangiare.

Che poi è quello che si fa in un pub.

Ma dov’erano gli occhi sgranati su di noi?

Le lacrime per il mio brano strappa gonadi? Dov’era l’attenzione?

Mi svegliai di colpo e capii che non era stato un sogno.

La triste realtà degli artisti che elemosinano attenzione

Non era un sogno, era un ricordo.

O comunque un sogno che attingeva a mani basse da fatti che realmente ho vissuto e che evidentemente rimarranno impressi nella mia anima a vita (saranno passati 15 anni ormai).

Il punto è questo: ricordo bene quando elemosinavo attenzione.

E siccome il ricordo è vivido, altrettanto forte è la voce che grida dentro di me: mai più.

Mai più inseguire i discografici girando per le varie chiese con il demo in mano (fatto).

Mai più spammare ai giornalisti scrivendo “fuori ora il mio ultimo singolo” (o pagare uffici stampa che facciano la stessa inutile cose) (fatto).

Mai più spammare ad amici e parenti sui whatsapp “clicca qui per votarmi, dai che vinciamo”.

Ora mi accorgo di quanto fosse poco dignitoso quel comportamento, anche se mi biasimo fino ad un certo punto:

l’ansia di essere ascoltato e riconosciuto era veramente forte ed alimentata, ne sono certo, dalle aspettative delle persone che mi circondavano, dai professionisti del settore con cui entravo in contatto, e cribbio, dai miei stessi compagni di band, delle cui ansie pure mi caricavo (arbitrariamente e senza diritto – avevo la sindrome del super-eroe).

È ironico come oggi che ricopro un umilissimo ruolo nell’industria musicale, sia diventato l’oggetto dello spam di altri artisti.

Chi mi chiede d’essere votato, chi di ottenere una recensione (fratelli e sorelle… io in Rockol.it mi occupo di marketing, non scrivo. Informatevi un pochino prima di sputtanarvi così)…

…insomma l’ansia che avevo io 15 anni fa, la riconosco negli artisti in cui mi imbatto oggi.

Ed è innegabile che un po’ di tristezza mi salga agli occhi, al pensiero d’essere io stavolta ad ignorare chi è evidentemente alla ricerca d’attenzione.

Svegliarsi dall’incubo

Quindi mi sveglio dall’incubo e mi ritrovo in una distopica realtà in cui lo stronzo sono io, che non rispondo alle decine di DM che mi arrivano su Instagram (anche se vi giuro che ce la metto tutta a rispondere)?

Naaaah, sto ancora sognando.

Non è che un sogno dentro al sogno – c’è un ulteriore risveglio da compiere, à la Inception – un onirico salto mortale verso una nuova consapevolezza, ovvero che:

ho creduto di elemosinare attenzione, stavo solo cercando ammirazione.

L’artista è affamato di riconoscimento, ma è dannatamente impaziente: vuole tutto e subito.

La nuova realtà in cui svegliarsi ci accoglie con un megalitico avvertimento: non si può.

L’ammirazione di altri esseri umani non la puoi chiedere in una mail o in un comunicato stampa: te la devi meritare.

Vale molto di più avere la costante attenzione degli uomini che la loro occasionale ammirazione.

Jean-Jacques Rousseau

La buona notizia è questa: viviamo in un’epoca in cui puoi ottenere attenzione costante se sai come fare.

Se sai creare del contenuto che parla al cuore, ai problemi, agli interessi delle persone… queste ti daranno attenzione, senza nemmeno accorgersene perché un algoritmo avrà consigliato loro il nostro contenuto.

La buona notizia è che possiamo tornare a concentrarci sui contenuti, sul messaggio che vogliamo trasmettere al mondo, e se quest’ultimo sarà rilevante per questo mondo, possiamo essere quasi certi che un algoritmo farà lo sporco lavoro di consigliarlo a chi di dovere (l’algoritmo ha i suoi interessi ma questo è un altro discorso).

“Gabriele, mi stai dicendo che quindi la tua canzone strappa-palle oggi avrebbe una chance?”

Ho già dimostrato che è così.

Qualche tempo fa una mia ballad tristissima, dal titolo “Nuda”, ha avuto un bel giro di visibilità su tutti i social, complice un videuzzo fatto a dovere, seppure completamente home made, e una spintarella tramite la campagna acchiappa-fan che insegno in ArtistiAdesso.com.

Ma se questa canzone ha avuto successo, che per me significa che ha trovato centinaia di orecchie disposte ad ascoltarla per intero, non è per qualche trucchetto o magia imperscrutabile:

è perché in qualche modo parlava al cuore della persona al di là dello schermo, che l’ha intercettata – e questo è un punto cruciale – al momento giusto.

Non mentre mangiava un panino in un pub.

È qualcosa a cui pensare: se ci ostiniamo a non aprire gli occhi come potrà l’incubo avere fine?

Sull'autore

Gabriele

Sono un cantautore e music marketer, aiuto i colleghi a farsi scoprire DA VIVI.

Gabriele

Sono un cantautore e music marketer, aiuto i colleghi a farsi scoprire DA VIVI.

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