Niccolò Fabi: 8 canzoni (poco conosciute) che le hanno cambiato la vita

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Eh, Niccolò Fabi.

Sto immaginando una donna di 25-30 anni, seduta  su una panchina in un parco nascosto, forse a Milano.

Indossa le cuffiette come fossero orecchini: con eleganza, ma anche rigore.

Una posa che diresti da dirigente affermata, con quelle labbra strette a rimproverare qualcuno di assente.

Se non fosse che ha gli occhi chiusi, e fissa il cielo.

E allora la guardi e non sai più come interpretarne il linguaggio del corpo: tra pace e dolore, rabbia e torpore.

Nelle cuffiette ascolta un brano di Niccolò Fabi, e nel buio del suo stesso sguardo, si ritrova a giudicarlo.

A giudicare quelle canzoni, il testo, le parole.

Troppo, dannatamente semplici.

Come fa un flusso di parole così elementare, oscenamente ovvio, ad essere così significativo, tanto che anche nella pubblicità del parco, lei si sente nuda, allo specchio?

La playlist che sta ascoltando doveva esserle di conforto; e lo è, in parte.

Gliel’ha preparata un amico e ora sa di avere un credito da riscuotere con lui.

Le deve un abbraccio.

Uno soltanto.

Perché è troppo, stupidamente orgogliosa per ammettere di averne bisogno.

01. “Senza rabbia”

Ha premuto play non più di trenta minuti fa e giuro che non aveva aspettative di sorta.

Di Niccolò Fabi ricordava una strana canzone che parlava di pettinature (chissà se ha ancora quei ricci) e poi il duetto con Max Gazzè, che francamente l’ha sempre divertita di più.

E anche adesso è così.

Nelle orecchie le parte una batteria elettronica che neanche un bradipo con ambizioni da deejay avrebbe osato.

“Ecco: che palle” si dice.

Poi un giro di chitarra acustica carino.

Poi lui.

“Soffocherò”, dice.

E lei già si dispiace: “Poverino.”

Poi di colpo quell’ironia che mirava a spegnerle l’Iphone, si spegne.

“Soffocherò dentro di me
il bisogno di urlare
e i dubbi che ho.
Lei mi vuole così,
questo è il ruolo per me
condannato a distinguermi per calma e virtù.”

Le viene in mente quella volta che ha sorriso e proprio non le andava.

Quella volta che – cazzo, possibile che spetti a me riordinare i tuoi casini, farti da balia, aspettare che la rabbia mi muoia in gola per far riaffiorare il centomillesimo dei patetici sorrisi che da anni colleziono sulla faccia?

Il turpiloquio mentale la sorprende e sgrana gli occhi.

Forse Niccolò Fabi merita di essere ascoltato con occhi attenti.

È in quel momento che si sistema meglio sulla panchina e mentre la voce dolcemente stonata del cantante sussurra gridando la sua (la sua?) rabbia, si chiede se le altre canzoni saranno altrettanto sorprendenti.

niccolò-fabi

02. Monologhi paralleli

C’è una foglia che cade.

Non è autunno, non è inverno, a volte semplicemente non è stagione.

Si è appena ricordata di dover chiamare suo padre: più volte ha tentato di contattarla, negli ultimi giorni.

È che non ho voglia, si dice.

Un padre avrà sempre la voce del dovere: e non voglio sentire di dover fare, adesso.

Come quella foglia: non deve cadere, lo fa e basta.

Io, come lei.

“I nostri scambi di pensieri
sono monologhi paralleli,
gente che parla dietro un vetro
parole che non capirò.”

Sta scrivendo un messaggio a suo padre, mentre la voce di Niccolò Fabi canta queste parole.

Un sms è la panacea dei mali moderni.

“Mi scoccio di sentirlo”, e via.

Ma…

È incredibile come le canzoni sappiano fare breccia nella distrazione.

Fai la spesa, e per tutto il giorno seguente ti ritrovi a cantare quel motivetto, e nemmeno ricordi che la radio del supermercato l’ha mandata in onda tre volte.

Ora lei e la canzone sono esattamente due monologhi paralleli.

Ma la membrana tra i due non è di vetro, per fortuna: è permeabile.

Così il monito della canzone penetra nei suoi neuroni, irradia la sua anima, le elettrizza il cuore.

Una cardioversione emotiva, inconscia: e lei smette di scrivere.

Sblocca il telefono e fa partire una videochiamata.

Chiama suo padre.

03. Perché mi odi

Dai, le musiche sono trascurabili.

Le sembra di sentire il provino di una band incerta degli anni 90 (e incerta sugli anni 90).

In effetti il suo amico le aveva detto che le canzoni erano un po’ vecchiotte.

“Ma tu ascolta le parole: per una volta, cerca di non essere superficiale. Le parole te le devi ripetere in testa, per capirle!”

E allora si impegna e decide di farlo.

D’altronde parlare con suo padre è stato meno palloso del previsto: stranamente non si è sentita travolta dalle sue ansie, come accadeva di solito.

E allora si sforza di ascoltare la canzone e ne ripete mentalmente le parole:

“Bisognerebbe maneggiare con più cura
le cose, che se per uno sono spazzatura
per un altro sono tutto ciò che ha.”

Le ripete ancora, le sue labbra si muovono, quasi le pronunciano.

Ma non se ne accorge e altrettanto inconsciamente alza il volume dell’Iphone.

Bisognerebbe…

… E chi lo dice?

E ridaje con questa storia del dovere, del dover fare!

Bisogna cosa?

Maneggiare con più cura le cose?

Sarà una metafora no?

Le cose sono le idee delle persone o che altro: i gusti, le speranze, i sogni, i difetti, le paure, le stramberie, i tic nervosi?

Le ansie, le smorfie, le gentilezze, gli hobby, i libri preferiti, le foto su Instagram, le feste di compleanno?

Bè, non ho mai amato le feste di compleanno, e papà lo sa bene, lo sa anche quello stupido di…

Poi il ricordo della sua faccia raffiora: ricorda la delusione sul suo viso.

Ricorda il tentativo di mascherarla con un sorriso e la strana smorfia che ne uscì.

Cavoli, l’ho fatto soffrire.

Dimenticando il suo compleanno.

Non ci ho mai messo il pensiero, ai compleanni.

Ma per lui era diverso.

E l’ho ferito.

04. Sangue del mio sangue

Se pensa a quante volte l’ha ferito, qualcosa dentro di lei sgorga via.

C’è un fiume nascosto, in cui butta tutte le cose spiacevoli, come sassi.

E spera che prima o poi bastino a fermarlo, il fiume.

niccolò-fabi

Lui era come un bambino.

In fondo era così.

Ingenuo, non innocente.

Sorrideva volentieri a tutto, anche ai pericoli, ai doveri della vita (cavolo, ancora i doveri!), ai telegiornali.

Si aggrappava tenacemente al bambino dentro di lui, ancora giocoso, sincero.

“E cresci, maledizione: dici che il proprietario le accetta le tue stronzate al posto dei soldi per l’affitto?”, gli comunicava a gesti convulsi.

Ma voleva stroncarlo e non vacillava mai.

Voleva smentirlo e finiva per dargli ragione.

Voleva ferirlo e quando smise di volerlo, lo ferì.

Adesso ascolta la playlist di un vecchio amico, seduta in un parco e pensa alla purezza del loro primo bacio.

Così giusto, così consequenziale.

Così ovvio.

“Ora so perché mi blocco
in questo amplesso funesto
perché quando ti tocco
sembra quasi che sia incesto.

Mani senza l’istinto
di possedere il tuo corpo
io ti ammiro come un dipinto
davanti al quale sono assorto.”

È tutta qui, “Sangue del mio sangue” di Niccolò Fabi.

È tutta qui, e lei si tocca il cuore.

C’è un orchestra intera ad assecondarle l’anima.

Queste cuffiette hanno davvero il potere di cambiarmi la vita?

Una canzone potrà guarire l’aritmia di questi giorni in cui non vedo, non prego, non chiedo neanche a me stessa di rimediare ai miei errori?

Non io, qualcuno dovrebbe farlo per me.

Qualcuno che sappia parlare.

Come vorrei darla a noleggio, questa vita, e pagare uno specialista che nei miei panni ritorni da lui.

Che gli spieghi come anch’io mi svegliavo nel cuore della notte per guardarlo dormire.

Assorta, davanti alle possibilità che dormivano al nostro fianco.

Come un dipinto.

05. Il mio stato

Si asciuga il viso.

Cazzo, ho bagnato l’Iphone.

Da qualche parte ha letto che l’umidità può bloccare l’audio di quel benedetto dispositivo che si ostina a chiamare cellulare ma è più una protesi.

Spera che l’audio non si blocchi adesso, perché questa canzone la rilassa.

Un giro di chitarra, semplice.

Ha capito come funziona, sto Niccolò Fabi: pochi accordi, ma melodie che sembrano piovute da un abete scrollato dal vento.

O da Sting, che è il suo cagnolino, e che ogni Natale, chissà perché, carica l’albero e lo prende a testate.

Quindi pensa al Natale.

Non uno in particolare, tanto sono tutti uguali.

I parenti, il cibo, gli amici.

Quest’anno la mamma ha fatto un dolce nuovo.

I regali, gli stessi, oppure nuovi ma meno attraenti, un pochino grigi.

Mio fratello si è sposato il mese dopo.

La stessa solfa, le luci, le strade, il caos, capodanno.

L’ultimo dell’anno stavolta siamo partiti per le Maldive, io e mia sorella.

Dio!

Potesse avere un centesimo per tutte le volte che invece di apprezzare quello che ha si deprime e tutto le sembra in malora!

C’è un nome per questo stato?

Sindrome del grigiore cronico?

“Il colore delle mie medaglie non è mai intonato
con quello del mio vestito,
il riscatto non abita qui,
sapessi ogni tanto godere di essere fatto così.”

06. Mimosa

Si ricompone, come una statuetta fatta di lego.

Si sente come se avesse distrutto una stanza: e invece è sempre lì, seduta sulla panchina in un parco – forse a Milano.

Una signora anziana le si siede accanto, evitando accuratamente di sederle accanto.

Ha preso di mira l’estremità della panchina con una decina di metri di anticipo ed ora la occupa con avarizia.

Tra di loro, trenta centimetri di silenzio.

L’anziana signora la spia per un attimo e lo fa anche lei: gli sguardi si incrociano.

La signora accenna un sorriso e dice qualcosa.

Come fa la gente a parlarti? Signora ma non le vede le cuffiette, maledizione?

Sto ascoltando un canzone!

Una canzone bellissima, che mi ricorda l’amore e quando c’ero io davanti allo specchio che indossavo il mio dolore e… sono costretta a fissare questa bocca grinzosa e stranamente rosa che mi parla.

Cosa vorrà mai?

Le fa un gesto con la mano ad indicare le cuffiette.

E una smorfia di costernazione.

Le sembrerà maleducata ma non le importa.

Alla signora, qualunque cosa abbia detto, non risponde.

Non può rispondere, non capirebbe.

Non vuole rispondere.

Non voglio rispond…

… Ecco!

Ecco che percorso fanno i suoi pensieri!

Beccati!

Se n’è accorta!

La sua mente trasforma un’ impossibilità in una mancanza di volontà.

È lei a convincersi di non volere!

Se non posso non voglio!

Ma è sbagliato!

Quante altre volte sarà accaduto, a sua insaputa, questo meccanismo mentale?

Questa tecnologia antiquata che manipola i suoi limiti e li tramuta in “non voglio”, “non mi va”, “ora no, sono stanca”, “dopo”, “dopo”, dopo”.

La signora non capirebbe, e allora?

È proprio vero che non vuole rispondere?

No che non lo è.

Eppure non lo fa.

Maledizione, se lo avesse capito prima!

Sarebbero bastati due mesi!

Solo due mesi fa…

“Quando si comincia a recriminare
È il momento in cui si sta per sparire.”

07. Quello che volevo

Due mesi prima lui le disse di amarla.

Lei no.

Non che non fosse vero.

Ma così credette.

Soltanto due mesi dopo, su una panchina in un parco, ascoltando Niccolò Fabi, si sarebbe accorta di non saper volere più.

Che se non voleva era perché non poteva.

E quindi non l’amò, per pigrizia.

I limiti sono molto seducenti: se li assecondi hai per un po’ l’illusione della serenità.

Accettare i propri limiti è una cosa buona; non lo è ostinarsi a voler parlare, se non hai voce.

Non lo è se diventano la scusa per smettere di fare anche quello che PUOI fare, perché allora hai frainteso la vita.

Ti stai mettendo la maschera dell’impotenza; e lei così fece.

Arrabbiata, si era dimenticata di una verità: ogni foglia, anche quella che adesso ha davanti e che non smette di cadere, ha i suoi buchi.

Le sue mancanze.

Qualcosa che ha perduto.

“Così pensando a quello che perdevo
non ebbi mai quello che volevo.”

La domanda adesso era: poteva davvero rischiare di perdere quello che voleva?

niccolò-fabi

08. La bellezza

Quel suo amico deve aver messo le canzoni in ordine cronologico.

La voce di Fabi è più leggera, più dolce, rispetto alla prima canzone.

Si sorprende a pensare al cantautore con un sentimento quasi materno: nel giro di trenta minuti le sembra di averlo visto crescere.

Cambiare.

Si sente anche lei un po’ diversa.

Guarda di sottecchi la signora accanto e distante da lei.

Non ricorda come abbia reagito alla sua indifferenza e ora non sa decifrarla.

La signora è triste? È serena?

Non sa dirlo: se fosse affranta o altro sarebbe più facile per lei sentirsi in colpa ed agire.

E invece niente.

Non c’è senso di colpa a spingerla, l’energia deve scaturire da qualcos’altro.

Dalla sua volontà.

Digita qualcosa sull’Iphone, si gira verso di lei e glielo porge.

La signora è sorpresa, guarda lo schermo e capisce.

Sorride, poi inclina il busto in modo da poterle essere di fronte e compie una serie di gesti.

La indica, incrocia i pugni e se li batte sul petto.

L’effetto è quasi comico perché la signora le sembra buffa: ma i segni sono del tutto giusti.

Si sente sorpresa e non ricorda quando ha provato quella sensazione, prima di quel pomeriggio.

Si accorge che da qualche parte aveva conservato un sorriso e lo trova adesso.

Voglio risponderle.

Voglio farlo.

E a modo mio, posso.

“Anche il vuoto si apprezza,
è meraviglia perversa la bellezza.”


Eh, Niccolò Fabi.

Ho immaginato una storia in cui non accade niente.

Una ragazza ascolta musica, FINE.

Eppure…

Immagini mai che qualcuno da fuori ti stia osservando?

E che non abbia la minima idea del mondo che ti ruota dentro?

Bene questa storia è per ricordare che…

… siamo molto e ancora ricchi, anche fermi e seduti su una panchina (forse a Milano).

Dedica qualche minuto al mondo che hai dentro.

La musica può aiutare 🙂

Un abbraccio,

Gabriele

PS: Qualora le riflessioni della ragazza o il gesto della signora non ti siano chiari, dai un’occhiata qui.

PPS: Scrivo canzoni e Niccolò Fabi ha influenzato tantissimo il mio modo di farlo. Qui puoi ascoltare un brano che canto dal vivo.

Sull'autore

Gabriele

Sono un cantautore e music marketer, aiuto i colleghi a farsi scoprire DA VIVI.

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