Se non sei un artista sui social non hai sofferto abbastanza

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Perché la depressione è così diffusa nel mondo degli artisti?

Questa domanda ha iniziato a crescere dentro di me alimentata sia da supposizioni che da esperienze.

Le supposizioni

È luogo abbastanza comune che l’ipersensibilità di un artista lo esponga al rischio di depressione.

Come se cogliesse sottigliezze che gli altri non colgono ed è l’unico superpotere al mondo che, se non espresso, corrode.

Ma anche se espresso in realtà: praticamente gli artisti hanno il superpotere di autodistruggersi.

Il meglio che si può sperare è che nell'”atto” di implosione (nelle proprie sofferenze, nella propria ipersensibilità) l’artista partorisca il prodotto creativo, al suono di “ding” o “plof” (a seconda che sia magia o una cagata).

Ma qui siamo nell’ambito delle supposizioni, dei luoghi comuni: ci fa quasi “piacere” pensare che un artista per produrre debba soffrire, piace anche agli artisti perché un po’… fa figo.

Diciamocelo: con la morte noi quantomeno ci flirtiamo e fino ai 27 anni almeno una volta al mese ci siamo chiesti se saremmo finiti nel club di Jim Morrison, Hendrix e Cobain.

Ma non posso scrivere un articolo intero basato sulle supposizioni: ecco quindi che interviene l’amico fidato dei dubbiosi, Google.

Da un articolo del 2019, estraggo:

Secondo uno studio realizzato da Record Union, una piattaforma di distribuzione svedese, il 73% dei musicisti indipendenti soffre o ha sofferto dei sintomi relativi a una possibile malattia mentale. Si tratta di depressione e ansia tutte condizioni legate alla professione svolta. […] La ricerca è basata sulle risposte di 1500 musicisti che collaborano con la piattaforma. Più in generale, il 57% ha dichiarato di essere preoccupato per la sua salute mentale e il 41% ha riferito di preoccuparsi più volte al giorno.

Fonte

Ho scovato poi quello che pare essere il più grande studio mondiale che connette salute mentale e mondo della musica, con oltre 2.200 musicisti studiati e intervistati.

“La musica può farti ammalare?”

È il titolo del libro di Sally Anne Gross e George Musgrave, in cui con metodi empirici ed interviste i due scandagliano l’animo dei musicisti per dimostrare che le condizioni “instabili” a cui l’industria musicale costringe, apparentemente, gli artisti, contribuiscono a creare la “tempesta perfetta”, favorendo o addirittura amplificando le lotte per la salute mentale nei creatori di musica.

Verità scomode che sfidano un settore che, ahimè, non mi sembra particolarmente interessato a questi temi.

Le esperienze

Parliamo ora delle mie personali esperienze con la depressione e/o con i sentimenti degli artisti.

Sono duplici:

  1. Nel 2015 vissi un momento di forte disagio esistenziale, “triggerato” dall’ennesima delusione artistica.

    Ciò portò delle conseguenze sul mio corpo, che ho raccontato a fondo qui.

    Per farla breve, la depressione l’ho toccata con mano.

    E fa schifo.
  2. Dal 2020 dialogo quotidianamente con la comunità dei colleghi artisti.

    Mi viene generalmente riconosciuto un buon livello di empatia, per cui capita che da argomenti come “music marketing” e “music biz” si arrivi a parlare di fatti personali, si condividano esperienze e scappino confessioni.

    Come chi mi confessa di aver vissuto momenti veramente bui della propria vita, fatti di droghe o psico farmaci.

    Fatti di scelte pesanti, di piani B imposti.

    Di frustrazione e delusione.

Insomma io il dolore lo vedo, lo tocco con mano e devo dirlo: a volte davvero non so che cazzo fare.

L’unica cosa che mi viene spontanea tutte le volte mi è preclusa: a meno che non decida di abbracciare, con trasporto, lo schermo del computer.

Perché i musicisti si deprimono

Fatemi elencare un po’ di motivi sparsi.

I musicisti si deprimono perché:

  • questa industria vive dei prodotti artistici, ma allo stato attuale, NON riconosce ai creatori una gratificazione economica PROPORZIONALE al loro lavoro;
  • una grande fetta dell’industria musicale VIVE DI SERVIZI VENDUTI AGLI ARTISTI (prima ce ne rendiamo conto meglio è), cosa che di per sè NON un problema, sia chiaro, è un fatto.

    Il problema qual è?

    È che questi “servizi” fanno leva sui sogni degli artisti, generano aspettative sproporzionate ed immancabili, fragorosi, capitomboli dei suddetti.

    Suddetti artisti che, mentre il titolare dei servizi di turno (etichetta, ufficio stampa, social media, etc.) si intasca i dindini e torna a casa soddisfatto, loro non vedono solo svuotarsi il portafogli ma anche una porzione importante della propria identità profonda.

    Qualcosa dentro di loro, quando i piani non vanno come promesso, muore.
  • società e cultura NON riconoscono gli artisti a TUTTI I LIVELLI, ma solo a quelli TOP.

    Se non riempi uno stadio NON sei un artista.

    Se non sei in classifica NON sei un artista.

    Se non sei in televisione NON sei un artista.

    Se non hai millemila streaming NON sei un artista.

    Potrei continuare all’infinito su come la società, e con enorme tristezza, anche la comunità artistica stessa, si inventi costantemente nuovi standard, irraggiungibili ai più, in cui l’espressione artistica è esclusivamente legittimata.

Cosa ho imparato dalla depressione

Proprio ieri parlavo con una collega in call e stavolta la confessione è sfuggita a me:

“Sai, col senno di poi, sono GRATO per quel momento della mia vita.”

E lo ribadisco: se non avessi sperimentato la ribellione del mio corpo, se non avessi avuto quel momento in cui il mio nemico era lo specchio, ora non sarei chi sono.

Non mi troverei in questa particolare condizione in cui mi sento finalmente AL CENTRO della mia vita e calato nei panni del ruolo che ho ed avrò su questo pianeta.

Un ruolo che mi consente di raccomandare ai miei colleghi che uscire dal loop infernale di una ricerca costante di legittimazione è possibile.

ANCHE grazie ai social media.

Con i social media la nozione di “mainstream” si svuota.

Esistono le nicchie.

Esistono i club.

Esistono ecosistemi in cui l’artista può definirsi tale senza che nessuno osi anche solo pensare di dirgli “ma perché non vai ad X Factor?”.

E per concludere mi rivolgo agli artisti che si permettono di SPUTARE su chi, come me e tanti altri colleghi lungimiranti, utilizzano i social per crearsi il proprio ecosistema.

Signori o signore, forse non avete sofferto abbastanza per capire quanto sia VITALE per un artista avere palcoscenico in cui sentirsi riconosciutə.

Fisico o digitale che sia.

E sticazzi.

PS: il 3 dicembre organizzo un evento a Milano proprio per artisti che non sputano.

Prendi in considerazione di partecipare (c’è un sconto valido fino al 20 novembre).

Sull'autore

Gabriele

Sono un cantautore e music marketer, aiuto i colleghi a farsi scoprire DA VIVI.

Gabriele

Sono un cantautore e music marketer, aiuto i colleghi a farsi scoprire DA VIVI.

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